LAVORO

Metamorfosi del salario

Con lo sviluppo del modo di produzione capitalistico il salario nasce come “paniere di sussistenza”, dunque avulso dal valore del lavoro prestato. La differenza tra l’uno e l’altro (cioè tra valore del lavoro e salario) rappresenta -secondo Marx- il plusvalore, base del profitto e dello sfruttamento di chi realmente produce ricchezza.

Due secoli e più di conflitto tra capitale e lavoro, non sono riusciti a demolire questa vergogna. Ne ha, tuttavia, mitigato la ferocia classista, in termini di diritti, libertà e tutele: è il compromesso realizzato dal welfare state, vero lascito del Secolo breve.

Oggi, dopo vent’anni di globalizzazione neoliberista, di mercificazione e precarizzazione degli stessi rapporti umani, il salario non è più la punta di diamante del conflitto, in grado di assicurare quella esistenza “libera e dignitosa” su cui insiste la nostra Carta del ’48. Risucchiato dal buco nero dell’ultraprecarietà, fagocitato dalla nuova congerie contrattualistica, annegato nel mare magnum della rivoluzione digitale, il salario è diventato evanescente come lo stesso salariato, salvo poi materializzarsi (l’uno e l’altro) in forma e lemma nuovi, utili a celare sotto il falso mito di una ritrovata libertà uno sfruttamento ancora più feroce, perché divenuto auto-sfruttamento che non garantisce più nemmeno la sussistenza. E’ la nuova frontiera della Sharing economy, di cui ci parla Roberto Ciccarelli nel suo “Forza lavoro” o, con accenti diversi, Staglianò e Marta Fana in loro recenti lavori.

E infatti, cosa accomuna gigworkers e clickworkers, startuppers e via discorrendo (che non esauriscono certo il panorama degli “occupati”) alla massa di quanti, giovani e meno giovani, una occupazione non la cerca nemmeno più? La risposta è: un drammatico problema di reddito! Per cui, di fronte al vuoto di proposte della sinistra (o, peggio, alle sue responsabilità nella determinazione del disastro) non c’è da meravigliarsi se il pentastellato reddito di cittadinanza abbia incontrato il favore di così tanti elettori, soprattutto, e non a caso, nel Mezzogiorno d’Italia. Certo, si può (e si deve) insistere sull’insufficienza (e sull’opacità) dell’iniziativa, sulla necessità di accompagnarla a incisivi provvedimenti normativi (nazionali ed europei) in grado di modificare gli odierni meccanismi di accumulazione e di polarizzazione della ricchezza, etc. Ma una cosa è certa, nelle condizioni date, è un passo ineludibile.

alessandro punzo

Il Manifesto, 28 marzo 2018

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