Michele Punzo era un imprenditore napoletano, amministratore della Imel Impianti s.r.l., un’azienda di Marcianise Sud (Caserta), che quarant’anni fa aveva creato e che con il lavoro tenace suo e dei suoi collaboratori aveva ampliato. La vita, che nel Sud vuol dire ricerca ossessiva di un lavoro, ci separò presto: un incarico di insegnante mi allontanò da casa e affetti per trasferirmi nel Nordest, dove risiedo. Pochi anni dopo fu la volta di Massimo, il minore di noi tre fratelli, che un concorso in ferrovia condusse in Friuli. Michele, invece, rimase: col suo diploma di perito elettrotecnico, dopo una breve esperienza di lavoro dipendente, testardamente tentò la via dell’impresa, sacrificando tutto se stesso. Riservato com’era, non amava parlare di sè, delle sue ansie, dei suoi problemi: pochi cenni durante i fugaci nostri incontri, quello di Capodanno, in particolare. “E’ difficile fare impresa qui al Sud -mi diceva- soprattutto quando lo fai onestamente, perché devi confrontarti con chi, subdolamente, ti soffia via commesse con ribassi d’asta del 30 e più per cento; perché devi aspettare mesi, talvolta anni, per vederti remunerare lavori già eseguiti, mentre banche e fornitori non stanno certo a guardare…” (…). E nonostante tutto, è riuscito ad onorare sempre i suoi impegni, anche al prezzo di enormi sacrifici personali. Ma quest’ultima crisi economica gli è stata fatale: per mesi e mesi negata da un governo insulso e cialtrone, nel vuoto delle menzogne che per più di un anno ci ha ammannito il presidente-imprenditore (che nulla ha fatto per supportare le mille piccole imprese che costituiscono il nerbo produttivo del Belpaese), é maturata l’ennesima tragedia sul lavoro. In un afoso mattino di fine luglio (martedì 27), Michele, a soli 61 anni, ha deciso di farla finita: l’ha fatto in estrema solitudine, in quella stessa azienda che fino all’ultimo aveva cercato di salvare. Lascia la moglie e tre splendide figlie, un dolore indicibile, un vuoto incolmabile. A lui, che amava tanto la fotografia, dedico questo sito.

a.p.

Il Manifesto, 30 settembre 2010